Lo sport si è da sempre intrecciato con la vita di Mauro Gambetti. Prima da ragazzino quando militava nella squadra di calcio nei dintorni di Imola e poi al liceo quando si cimentava nella corsa. Tifoso accanito della Juventus che seguiva con passione le imprese bianconere e patito di Formula 1 che non perdeva occasione di andare con gli amici al Gran Premio di Imola.
Al Gran Premio è tornato anche un anno fa ma da cardinale. Mauro Gambetti infatti, dopo aver rivestito la carica di custode del Sacro Convento di Assisi, nel 2020 è stato nominato cardinale da papa Francesco. E dall’anno successivo vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, arciprete della Basilica di San Pietro e presidente della Fabbrica di San Pietro.
Prima da frate minore conventuale e poi da cardinale, non ha mai abbandonato o rinnegato il legame con il mondo dello sport. Anzi, ha presentato alla Figc lo scorso anno la maglia per il mezzo secolo della Nazionale vaticana, quella che ufficialmente è l’associazione sportiva dilettantistica ‘Sport in Vaticano’.
“Lo sport – racconta il cardinale Gambetti ad Avvenire – ha nel suo dna non solo la predisposizione a far crescere la persona e a favorire l’armonia del corpo e della mente, ma va considerato anche un prezioso strumento per aiutare a sviluppare l’amicizia sociale che papa Francesco chiama fraternità”.
Lui è stato uno dei protagonisti della serata sportiva organizzata a Potenza nell’ambito della Festa di Avvenire. Però tiene subito a precisare: “Purché non venga schiacciato da altre logiche, a cominciare da quelle economiche”.
È proprio la corsa al business che lo ha allontanato dalla Juventus e dalle partite di Serie A. “Da diversi anni il calcio mi sta deludendo – spiega Mauro Gambetti – perché ha smarrito l’anima. Ormai tutto ruota intorno agli affari. Anche una squadra viene composta in base a quest’unico criterio: non esiste più l’appartenenza o l’attaccamento alla maglia. Rimango affezionato alla Nazionale italiana e, direi in maniera più ampia, al bel gioco”.
“Non sarà mai orientata da fattori economici – continua il cardinale – ecco perché, quando ritrovo la genuinità dello sport e mi imbatto in persone che hanno come solo scopo quello di scendere in campo, riscopro non solo il piacere ma anche la commozione che lo sport suscita. In fondo, se posso azzardare un parallelo nonostante le debite differenze, lo sport è come l’arte: rappresenta una delle espressioni dell’umano che riescono a dare colore alla vita e dicono che i limiti di ciascuna persona non possono mai essere una barriera”.
“Ho giocato a calcio ma non solo – racconta Mauro Gambetti – ho fatto anche la corsa, il basket, la pallavolo. Lo sport è una palestra di vita. Ed è una ricchezza che mi porto dentro. Ho appeso le scarpe al chiodo quando sono diventato frate, ma non avevo la stoffa dell’atleta o del calciatore”.
Prima, però, di entrare nel 1992 nell’Ordine dei frati minori conventuali, si è laureato in ingegneria meccanica a Bologna. E si spiega anche così la passione per i motori che aveva già da adolescente quando frequentava il liceo e fra i suoi compagni di classe c’era Stefano Domenicali, attuale capo della Formula 1 e un passato da Team Principal della Ferrari.
“Al recente Gran Premio sono andato su sollecitazione di Stefano – spiega il cardinale ad Avvenire – da giovane ho seguito il pianeta delle moto e dell’automobilismo. La Formula 1 unisce l’emozione di uno spettacolo alla ricerca tecnica per implementare le performance ma anche la sicurezza. Tuttavia, in questo ambito è sottile l’equilibrio fra ciò che è sportivo e ciò che appartiene ad altro, che è puro utilitarismo”.
“Lo sport è relazione – afferma Gambetti – non è solo esercizio individuale ma confronto. Esso chiama alla condivisione delle responsabilità e al rispetto delle regole. Praticare uno sport fa bene non solo al singolo ma all’intera società perché invita all’incontro e alla solidarietà”.
Ma c’è il rischio delle degenerazioni. “Avviene quando si perde di vista la sua impronta originaria: lo sport è fatto per divertirsi nella gratuità e per esprimersi liberando il proprio potenziale. Se, invece, a comandare è il profitto, si trasforma in fattore distruttivo per la persona e per le persone. Cito lo scandalo del doping, ma anche alcuni messaggi deleteri che lo sport ‘deviato’ può veicolare come la corsa smodata al consumo, la lusinga del successo, lo stimolo a volere sempre di più. Perciò sostengo che occorre educare le coscienze. Serve accompagnare la gente – conclude Mauro Gambetti – a non perdere di vista quale sia l’autentica natura dello sport. E, se accade, lo sport può contribuire a costruire una società che sia davvero più fraterna”.
Foto: Mauro Berti, gruppo editoriale Assisi News
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